lunedì 14 marzo 2016

La Teoria del sex appeal spettrale di Salvador Dalì.

I surrealisti lo chiamarono sprezzantemente "disegnatore di cravatte", André Breton coniò per lui il denigratorio soprannome di "Avida Dollars" (bramoso di dollari), anagrammando il suo nome. Lo accusarono ingiustamente di avere commercializzato la sua arte per accrescere la sua fama e soprattutto la sua ricchezza, in realtà Dalì aveva individuato nel SISTEMA MODA (stilisti, sfilate, riviste, pubblicità) il modo per veicolare la sua poetica verso il grande pubblico, per permetterle di superare i confini del mondo dell'arte e di sopravvivere.

Quella del "Sex Appeal Spettrale" è la teoria che Dalì elaborò su come si sarebbe evoluto il potere di seduzione della donna. è una teoria difficile da ricostruire, nel senso che tutta l'opera di Dalì ne è permeata ma non fu mai organizzata dall'artista in un testo compiuto. Di Sex Appeal Spectral il catalano parla per la prima volta in un articolo comparso su Minotaure nel 1934, nel quale spiega quali sarebbero state secondo lui, descrivendole, le caratteristiche nel nuovo fascino seduttivo delle donne. Senza scendere nei dettagli, la teoria in questione guardava al corpo femminile come ad un oggetto e per questo scomponibile e utilizzabile a pezzi. Più o meno negli stessi anni Walter Benjamin aveva introdotto il concetto di "sex appeal dell'inorganico" nel suo scritto incompiuto "Parigi, capitale del XX secolo" (iniziato tra il 1928 e il 1929), teoria che incontrò tutt'altra fama!


Salvador Dalì, I desideri inappagati, 1928

L'idea del corpo umano come cosa, come spiega Mario Perniola in Sex appeal dell'inorganico, pur essendo latente nella cultura umana dall'antichità, è una conquista della modernità che è potuta emergere solo dopo avere "esaurito il compito storico di confrontarsi con Dio e con l'animale"*. Essa si affaccia prima in letteratura, con il ritratto di Dorian Gray di O. Wilde, dove il ritratto smarrendo i tratti del volto dalla cui immagine esso trae origine e dimostrando una propria autonomia nel trasudare sangue e liquefarsi, riassume in sé il passaggio dalla concezione del corpo come solo involucro dell'anima a quella di corpo come "cosa-senziente". Il sotto-pelle che fino ad allora era stato solo degli animali nell'arte, diventa umano. Il passaggio viene registrato da Francis Bacon in Figura con carne del 1954, nel quale al Bue squartato di Rembrandt (1655) accosta una figura umana trasfigurata. Solo nell'ultimo decennio del 1900 il "corpo-cosa" si impone come protagonista nel mondo dell'arte, ne sono prova le sperimentazioni artistiche raccolte in mostre come Post-human (1992) e Sensation (1997).

Salvador Dalì, Cenicitas, 1928


Dunque un percorso lungo e articolato quello che vede il corpo assumere la sua autonomia di oggetto, rintracciabile - cerca di dimostrare la tesi in oggetto - nella lunga (che copre quasi interamente la sua vita) carriera artistica di Dalì, 

La poetica di Dalì, quella a cui egli lavora per tutta la vita e che capisce ad un certo punto di potere diffondere sfruttando a suo vantaggio il sistema moda, metteva al centro, per la salvezza dell'umanità, la Donna

Dettaglio da La Madonna di Port Lligat, Dalì, 1950

Era una visione fortemente politicizzata quella di Dalì, intimamente legata alla sua Spagna, marcatamente influenzata dalle sue psicosi, ma aveva in sé caratteri universali. La toeria del Sex Appeal Spettrale prevedeva da un lato una evoluzione del potere seduttivo femminile e dall'altro, con coscienza, forniva alle donne gli strumenti che avrebbero consentito loro di conservare il proprio ruolo (o di rivendicarlo se necessario)... la Donna in quanto Madre è naturalmente fatta per accogliere in sé l'altro, per custodirlo, per proteggere l'umanità da se stessa, è il suo grembo il luogo sacro per eccellenza, il tempio dell'umanità. 


Nella sua teoria Dalì aveva annunciato che "il nuovo fascino sessuale delle donne" sarebbe derivato dalla possibilità di usare separatamente i pezzi del proprio corpo, aveva parlato di "corpo smontabile", di risorse spettrali. 


Il nuovo ideale di bellezza femminile descritto da Dalì si discostava molto da quello classico della donna angelica, contemplava in sé la deformità. Per questa donna Dalì aveva progettato (negli anni '30 riprendendolo più volte nel tempo) "l'abito spettrale", caratterizzato da imbottiture che simulavano mostruose protuberanze sul corpo. 

Si dovrà aspettare alcuni anni per vedere sfilare abiti similmente concepiti sulle passerelle dell'alta moda. Mi riferisco a certe collezioni di Rei Kawakubo ad esempio, siamo nel 1997, 8 anni dopo la morte di Salvador Dalì e oltre 60 anni dopo l'abito spettrale concepito dall'artista!





Disegnò cravatte, tessuti, costumi da bagno, copertine per le più diffuse riviste di moda, come Vogue e Harper's Bazaar, disegnò pubblicità per rossetti e profumi... Non fu un modo per svendere la sua arte o per arricchirsi, ma un modo per insinuarsi nell'immaginario collettivo, non disdegnò il mezzo. Se fosse vissuto ora all'epoca dei social, sono sicura, si sarebbe divertito molto e non sarebbe stato fra quegli intellettuali che snobbano la rete come luoghi nei quali "un cretino ha lo stesso diritto di parlare di un intelettuale" affermazione - per me sconcertante - di U. Eco (morto ad 84 anni nell'epoca dei social che detestava!) 



Il contenuto (testo e immagini) di questo post è tratto dalla tesi di laurea in Storie e Progetto dell'Arte Contemporanea:
 “Sex-appeal spettrale. La moda nel mondo di Salvador Dalí” © di Cristina Senatore.  Laurea in Disegno Industriale per la Moda presso la Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli” di Aversa (CE)  Relatore: Prof. Vincenzo Trione. (110/110 lode e menzione speciale).

 La riproduzione totale o parziale è riservata




venerdì 10 luglio 2015

studio intuitivo / comparazione.


Sull'immagine del pendente d'oro (proveniente da Tel el-Ajjul, conservato nel Rockefeller Museum e rappresentante probabilmente la dea della fertilità Asthoreth, collegata alla dea egizia Hathor = protettrice delle donne, amante della musica, guardiana dei morti) ho segnato (in bianco) con dei cerchi i punti essenziali del disegno e ho tracciato linee di congiunzi
one. Viene fuori uno schema grafico molto simile, come si vede nella comparazione, a quello con cui viene rappresentato l'Albero della vita, rappresentazione simbolica delle leggi dell'universo nella Cabala Ebraica.

è da notare come i due oggetti/concetti (la dea Asthoreth e le Sefirot) simili fra loro perché riguardanti entrambi le leggi che regolerebbero l'universo siano rappresentati mediante figure che schematizzate, per mezzo di punti e linee nello spazio, si assomiglino, siano anzi quasi perfettamente sovrapponibili.

C'è dunque una verità dentro allo schema di relazioni che unisce quei punti e quelle linee, in quel numero, nello spazio?

domenica 5 ottobre 2014

Alessandro in Alessandra. Il medium Leosini.

Fa tutte le domande che io farei. Le ho sempre ammirato la tecnica. Soprattutto alla fine di ogni sua intervista non c'è nulla che avrei voluto chiedere che lei non abbia chiesto, nessun aspetto della vicenda trattata resta in sospeso, pure non giungendo, il racconto, ad una conclusione certa.

Accerchia la coscienza di chi le sta di fronte, Mette le persone a proprio agio e poi a nudo. Va oltre la persona, va alla condizione della persona. L'intervistato diventa una specie di medium per entrare in luoghi reali o possibili dell'animo, della mente, della condizione stessa di essere umano. Fisicamente sono uno di fronte all'altra, l'intervistato e lei, ma per tutto il tempo lei è come se stesse sottobraccio dell'altro a farsi condurre in posti dove da sola non può andare, non può accedere. Lei ci va e conduce tutti gli altri, chi la ascolta, attraverso di lei, in quei luoghi.

Questo modo di fare fa si che l'intervistato non si senta giudicato pure quando la domanda sottende, nemmeno tanto velatamente, un giudizio, quello che chiunque darebbe. Durante l'intervista infatti la Leosini non evita le domande scomode, quelle che potrebbero apparire morbose, le pone, incarnando continuamente la voce di una controparte, il senso comune della gente, la reazione che avrebbero i più (diventando in questo modo complice di chi ascolta). Le sue domande però sono prive realmente di morbosità. Non le interessa dare giudizi, ovviamente, ma mettere a nudo, tuttavia il giudizio (possibile) diventa uno strumento, per sollecitare, provocare, smuovere e rimuovere ostacoli, per farsi raccontare. A lei interessa la storia, le interessano i dettagli e le sfumature, per costruire e restituire a chi ascolta il racconto. Ma anche per stimolare in chi ascolta riflessioni che vanno oltre la prima impressione, oltre il pregiudizio e il giudizio rapido. 
Spesso durante l'intervista la Leosini fa riferimento con l'intervistato ai dialoghi che hanno avuto in precedenza, fuori dall'intervista. Ho l'impressione che lo faccia per ricordare a chi le sta di fronte che può stare tranquillo, che può fidarsi perché in questo momento lei sta impersonando un ruolo, che le domande per quanto scomode vanno a suo vantaggio, che lei non lo giudica e che in realtà vale il rispetto che lei ha sicuramente ha dimostrato precedentemente, conquistando la fiducia dell'intervistato. 

L'intervistato è per la Leosini un medium, d'altra parte la Leosini fa di se stessa un medium che porta il racconto agli altri, fa incontrare le persone attraverso la narrazione dei fatti, in un complesso gioco logico ed emotivo. 

Ogni intervista è un viaggio al centro della follia lucida, della normalità spogliata di ogni vincolo fino al limite estremo. Viaggia sul filo sottile del limite al di qua del quale le cose sono diverse da come un attimo dopo potrebbero essere o sono. Procede a ritmo serrato a smascherare la vera natura, illusoria, del limite, al fine di mostrare l'inconsistenza del concetto di confine e la sua reale, naturale (nei fatti) inesistenza.

Usa talvolta la tragicità dell'ironia per svelare, sottolineandola, l'ambiguità, la instabilità, la impossibile univocità dei fatti, altre volte impugna la crudezza, il tatto, la compenetrazione, anche il ritmo stesso delle domande, così come lo sguardo, le espressioni e il tono di voce e se ne serve per ottenere il racconto, la storia, per fare il viaggio.


Franca Leosini.


Stasera è andata in onda una bellissima intervista ad Alessandra Bernaroli, il fu Alessandro Bernaroli. (Uomo sposato che diventa donna e lotta per il suo diritto a conservare il matrimonio con sua moglie, vicenda giudiziaria tuttora aperta)

Emergono alcune cose interessanti su cui è utile tornare a riflettere, non tanto per dare risposta certa agli interrogativi che sorgono, quanto per conoscere se stessi meglio attraverso la riflessione su certi punti. Annoto (per me, per non dimenticare) di seguito quelli che mi sono rimasti impressi:

1.
Dice Bernaroli che le operazioni per diventare donna cambiano l'aspetto fisico della persona ma non l'essenza della persona, la sua intimità, la sua mente, il suo dna, il suo modo di essere, che restano invariati. Per cui se a lui prima dell'operazione, da uomo, piacevano le donne, dopo l'operazione, da donna continuano a piacere le donne, perché il suo gusto non è cambiato.

2.
Per lo Stato il matrimonio contratto precedentemente all'operazione, quindi regolarmente fra uomo e donna, decade automaticamente con la modificazione dei dati anagrafici poiché in Italia non è consentito il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Per lo Stato: il matrimonio di Alessandro divenuto Alessandra, non è valido.

Per la Chiesa il matrimonio resta valido: dice Bernaroli perché la chiesa capisce che l'essenza della persona non cambia, cambia il suo aspetto non la sua anima; dice La Leosini perché per la chiesa il transuessalismo è una malattia, chi si sposa promette di "rimanere fedele in salute e malattia" per cui la moglie deve restare accanto al marito perché malato.

3.
Alessandro prima di diventare donna ha crioconservato il suo seme. Per cui, volendo, adesso sua moglie potrebbe comunque avere da lui, anche se ormai è una lei, un figlio naturale.

4.
Bernaroli e la moglie. Nella coppia cambia il sesso. Dice Bernaroli è solo una questione di forma esteriore. I due stanno bene insieme come stavano bene prima dell'operazione. Di fatto però quello che era il sesso fra un uomo e una donna si trasforma in sesso fra due donne...

... mmmm

venerdì 13 giugno 2014

Ripartire dai "fundamentals"... ripartire da (Z)n ZERO.



Mentre a Venezia si svolge la 14ma Biennale di Architettura e Koolhaas chiede di ripartire dai "Fundamentals" e fuori dalla Biennale ci si interroga su questa e altre scelte, si accendono polemiche e critiche, si fa la conta di chi c'è e di chi non c'è... Lei lavora e (ri)parte da (Z)n ZERO.

(Z)n ZERO è il livello zero o per meglio dire è il "livello" assoluto dove esistono tutti gli elementi minimi - fondamentali - e anche tutte le loro possibili evoluzioni e complicazioni. Lei è Pamela Ferri, ha la sensibilità e l'agilità di un artista ma ha la formazione e le competenze di un architetto! è un artista ed è un architetto.

La sua ricerca parte da (Z)n ZERO, dal movimento basilare e fondamentale per la costruzione di ogni cosa e si trasforma in costruito. In oggetto o in Architettura: in STRUTTURA a diverse scale, coerentemente alla convinzione - che con lei condivido - che l'Universo abbia una struttura frattalica.

Il suo lavoro viene raccontato e illustrato benissimo da Anna Baldini e Diego Caramma, qui: http://presstmagazine.it/wp-content/uploads/2014/06/presSTmagazine-n.04-2014.pdf




Ora se non verrà una Biennale di Architettura che volendo ripartire dai fondamentali partirà da (Z)n ZERO, o da come volete chiamare quella che Pamela definisce "matrice universale", ogni critica, polemica e discorso sulla innovazione della Biennale di turno sarà perfettamente inutile perché non sarà cambiato nulla nell'Architettura, nel modo di intenderla, di parlarne, di raccontarla. Volendo riportare l'attenzione alle cose minime, forse azzerando degli eccessi o placando gli animi su querelle che rendono il pensiero stagnante e per riattivare il dialogo sul fare architettura (erano forse questi gli intenti di Koolhaas?) si deve partire dalle porte, dalle scale, dalle maniglie, dagli archi, dalle colonne... oppure si deve recuperare il gesto primitivo dell'uomo che si muove nello spazio generando intorno cose e dando forme allo spazio?














Qualcosa si muove nell'Architettura oggi. Perché qualcosa si sta trasformando intorno e dentro di noi. Fuori da noi accadono cose, noi stessi le facciamo accadere, che spingono ad una nuova presa di coscienza dell'essere attraverso l'agire, e di ciò che diviene/accade/viene ad essere in conseguenza dell'agire nello Spazio. Questo cambiamento lo avvertono in molti, sentono un richiamo forte dall'interno, la tendenza è quella a stabilire una connessione con questa forza più o meno consapevolmente e infatti in molti si spingono a ri-pensare le cose di sempre, a ri-valutare, ri-disegnare. Poi però il rumore intorno è forte, si lasciano distrarre e le loro ricerche si indeboliscono e l'Architettura diventa un argomento come tanti, va sullo sfondo, si usa come materiale per talkshow.

Mettere le questioni dell'Architettura al centro significa ripensare a noi stessi, a noi stessi nello spazio, a noi stessi come parti del Tutto che si trasforma intorno e dentro a noi e insieme a noi. Lo strumento che meglio si presta a questa operazione di de-costruzione e ri-costruzione, di ri-pensamento del nostro modo di stare al mondo e nel mondo (inteso come porzione dell'Universo) è, per me, il disegno.


Il disegno consente la manipolazione di sé stessi attraverso la manipolazione di ciò che è fuori di noi. Aiuta a capire e a capirci. Ad appropriarci dello spazio. è uno strumento di connessione, ci mette in relazione con gli altri e con le cose. è uno strumento e un ponte, un mezzo e un luogo dove ci incontriamo con noi stessi e con gli altri. è uno strumento di liberazione, di ri-appropriazione e di ri-costruzione. Il disegno come "un'opera continua, senza principio, senza fine e senza giustificazione"*.

Se solo si smettesse di misurare tutte le cose che avvengono adesso su quelle che sono avvenute. Se si agisse con onestà piena e in solitudine, fuori dagli schemi, dagli schieramenti e dai gruppi a tutti i costi senza cercare appoggio o sostegno negli altri, assumendosi ognuno la responsabilità di un confronto spietato con la propria condizione di essere umano, l'aggregazione avverrebbe in modo spontaneo, si formerebbero "gruppi" dai contorni non fissi e spontanei di intelligenze affini e la critica non sarebbe che il risultato di un confronto leale fra intelligenze diverse. Senza compiacimenti, ammiccamenti o pugnalate.

Un mondo senza rigidi confini, dove gli esseri viventi siano esseri intelligenti e cooperanti è possibile e auspicabile. Sarebbe bello cominciare dall'Architettura senza pre-clusioni e pre-concetti.





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*tratto dal manifesto di Alchimia (1977), per intero qui: http://www.alchimiamilano.it/index.html
** tutte le immagini nel post si riferiscono al lavoro di Pamela Ferri che è possibile approfondire qui: https://sistemasferico.wordpress.com
*** voglio inoltre segnalare tra le iniziative che vanno nella direzione di un mondo dove i saperi siano messi a disposizione di tutti per migliorare l'esistenza di ognuno, oltre alle mostre/laboratorio itineranti di Pamela Ferri (il prossimo workshop a Milano allo Spazio Yatta, Milano apertura 21 giugno)

scuola TAM TAM di Milano: http://www.tam-tam-tam.org/una-scuola-estrema/





mercoledì 5 febbraio 2014

The Daily Facebook del 5 Febbraio 2014_Il Corpo, l'Architettura, lo Spazio, la Superficie e la Pelle

Nel flusso di fb, in un certo momento, sono scorse insieme, comparendo in post diversi a poca distanza fra loro (spazio temporale, sulla timeline):
Il video che documenta la nuova campagna pubblicitaria di ProInfirmis "Nessuno è perfetto. Avvicinatevi"; L'artista Nick Bibby mentre lavora ad una scultura; una scultura di Alberto Giacometti legata al messaggio promozionale della mostra che avrà luogo da febbraio a maggio alla Galleria Borghese di Roma. Documenti da cui traggo le immagini che riporto sotto.




il CORPO



Attraverso il corpo conosciamo. Attraverso il corpo Ci conosciamo. 
Conosciamo noi stessi. Conosciamo tutto il resto. 


LA PELLE
La pelle è il luogo dove avvengono gli scambi.
Dove si da e si riceve. 
Si dà agli altri e si riceve dagli altri. Si dà sé stessi e si riceve sé stessi. 
Si riceve dall'esterno ma anche dall'interno di noi stessi. 

Sulla pelle Esterno e Interno si incontrano. 

In quello scambio, fra in-terno ed es-terno, noi esistiamo. 

Esistiamo sulla nostra pelle. Sulla superficie. La profondità è schiacciata sulla superficie, oppure meglio: la superficie è stratificata, è il risultato di una profonda stratificazione. 
Attraverso il corpo prendiamo e quella presa non è mai possesso è un attraversamento. Possedere significa lasciarsi attraversare. Nulla è fermo. Tutto scorre (anche se il fiume che scorre non passa!) 
Le cose non si possono afferrare perché non sono ferme, si possono sentire, perciò il possesso si identifica con un passaggio che è un attraversamento.   





es-TERNO / in-TERNO / e-TERNO / TERNO >> TER


esterno
estèrno agg. e s. m. [dal lat. externus, der. di exter o extĕrus «che sta fuori»]

interno
intèrno agg. e s. m. [dal lat. internus, der. di inter «entro, tra»]

eterno
etèrno (ant. ettèrno) agg. e s. m. [dal lat. aeternus, da aeviternus, der. di aevum «evo»; cfr. età]. – 1. agg. Che si estende infinitamente nel tempo, che non ha principio né fine

terno
tèrno agg. e s. m. [dal lat. ternus agg. «triplice», der. di tres «tre»

ter
ter avv. lat. (propr. «tre volte»).

TER >>> la divina Trinità

trinità s. f. [dal lat. tardo trinĭtas -atis, der. di trinus «trino»]. – La condizione, il fatto di essere trino, spec. con riferimento al mistero fondamentale del cristianesimo, l’esistenza in Dio di un’unica natura e tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo)...


***

[Al principio vi è l’1, che per vedere se stesso si scinde in 2 ma non perde la sua natura di 1.

L’1 e i suoi 2 fanno il 3.

Poiché il 3 è fatto dell’1 che si è scisso in due per vedere sé stesso, ogni tre è fatto di tre uno di cui due (l'1 e il 2) guardano nel verso opposto al terzo 1.

L’1 si riflette nei suoi 2 (quindi i due guardano nella direzione opposta all’uno) come se fra di essi vi fosse uno specchio.

L’1 non ha cognizione di sé se non si vede (l’interno è interno perché esiste un esterno, se non esiste nessun esterno non esiste nessun interno),

poiché l’1 si vede solo se si fa in 2, non esiste l’1 senza il 2 e ovviamente non può esistere il 2 senza l’uno, visto che il due è fatto dell’uno che si fa in due.

E poiché l’1 e il 2 nel momento in cui esistono danno luogo al 3, non esiste 1 senza 2 (né senza uno) e non esiste 2 senza 3 (né 1 senza 3, né 3 senza 2 e 1)]


***
Nell'incontro fra esterno ed interno esistiamo noi, nel mezzo, 
la nostra esistenza è con la sua stratificazione schiacciata sulla superficie*, sulla pelle.
Tutto quello che avviene avviene in superficie.

***



Il corpo è un'Architettura ed è il primo Spazio che tentiamo di abitare.
Scaviamo nel corpo con la nostra esistenza come nella pietra per ricavare una caverna.

Indossiamo il corpo. Abitiamo il corpo. E poi con il corpo abitiamo ogni altro spazio.

Vestiamo il corpo con lo spazio, lo vestiamo di spazio, lo abitiamo - lo spazio - attraverso il corpo.




Come un fiume si scava il suo percorso nel terreno e quello scavare corrisponde all'esistenza del fiume, così noi vivendo scaviamo il corpo e in quello scavo e in quello scorrere si verifica la nostra vita.

La nostra esistenza come quella del fiume è quello che è in ogni momento in cui lo è e si porta dentro tutto quello che incontra e questo trascinare diventa una stratificazione.

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NOTE
*in Architettura, sulla stratificazione della superficie vedi anche B. Servino

su architettura e spazio da vedere anche Lars Spuybroek, L'architettura del Continuo, Deleya Editore. 
su corpo e spazio interessante da vedere Rudolf Steiner

giovedì 2 gennaio 2014

COPIO, INCOLLO, LEGGO e SOVRA-SCRIVO. Lettura inter-attiva del San Sebastiano di Lorenzo Lippi.


Lorenzo Lippi, Saint Sebastian, c. 1628-40




Copiato e incollato da (Facebook, pagina dei Musei Italiani) QUI

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LippiLorenzo. - Pittore e poeta (Firenze 1606 - ivi 1664). Allievo di M. Rosselli, si distinse per un sottile verismo e un accurato studio della luce, raggiungendo felici risultati (...) Cominciò durante la dimora a Innsbruck e continuò a limare fino alla morte il suo poema burlesco Il Malmantile racquistato (post., con lo pseudonimo anagrammatico diPerlone Zipoli1676) (...) Il poema, ricco di motti e proverbi fiorentini e della vivacità, comicità, malizia del parlar popolare, è corredato da note di Puccio Lamoni (anagramma di P. Minucci) d'erudizione linguistica e folcloristica.
Copiato e incollato da (Enciclopedia Treccani on line) QUI

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La leggenda del soldato martire dal corpo efebico e glabro ha interessato pittori e scultori di ogni era, il che ha portato a concentrare gli artisti sull'iconografia del santo nudo dalla bella anatomia a discapito di quella del militare maturo. Il santo era tra l'altro una delle poche figure nude che avevano il diritto di stare in una chiesa.
Copiato e incollato da (Wikipedia) QUI

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Un'unica freccia trapassa l'ampio e muscoloso torace di questo scultoreo San Sebastiano, a cui Lorenzo Lippi ha voluto riconoscere la più elevata e superiore dimensione di marmo antico, fissando nella luce la sua eterna postura ed evitandogli così il decadimento e la decomposizione delle carni.
Scoccata dall'alto verso il basso, la punta e parte del corpo legnoso gli entrano nel costato poco sopra il cuore, subito sotto la clavicola, segnando il perlaceo e traslucido avorio dell'incarnato, con una minimale fuoriuscita di scuro sangue rappreso e un'essenziale ombreggiatura.
Gli imponenti volumi di questo mezzo busto, ruotato verso sinistra e leggermente in tralice, posto davanti, in assoluto primo piano, escono prepotentemente dalla tela, immersi in una luce chiarissima e rarefatta che proviene dall'alto, con un taglio obliquo da destra a sinistra, mentre un intenso e sapiente uso del chiaroscuro gli dona una eccezionale tridimensionalità e una forte profondità prospettica, che lo distacca completamente dallo sfondo scuro.
Chiari stilemi di una Testa dalle caratteristiche assolutamente Fiorentina, sicuramente derivanti da soluzioni formali introdotte e sviluppate originariamente già da Giovan Battista Naldini e da Alessandro Allori, rivisitate da Lorenzo Lippi, che qui le personalizza in chiave arcaizzante e purista, incastonandole nel perfetto cerchio di una sottile Aurea luminosa e dorata, posta contro il nero sfondo di un tronco immaginario, ai cui lati le foglie e le frasche sono delineate dalle lingue blu di uno scuro cielo terso.
Copiato e incollato da (Wikipedia) QUI

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Ma perchè tale è l'umana miseria, che a gran pena si trova alcuno, per altro 
virtuoso, che alla propria virtù non congiunga qualche difetto, possiamo dire che il Lippi, più per 
una certa sua natural veemenza d'inclinazione che per altro, in questo solo mancasse, e facesse 
anche danno a sè stesso, in essere troppo tenace del proprio parere in ciò che spetta all'arte, cioè 
d'averne collocata la perfezione nella pura e semplice imitazione del vero, senza punto cercar quelle 
cose, che senza togliere alle pitture il buono e 'l vero, accrescono loro vaghezza e nobiltà: la qual 
cosa molto gli tolse di quel gran nome, e delle ricchezze, che egli avrebbe potuto acquistare, se egli 
si fosse renduto in questa parte alquanto più pieghevole all'altrui opinioni.
Copiato e incollato da (introduzione a "IL MALMANTILE RACQUISTATO") QUI



LETTURA TRAMITE IPAD, RI-LETTURA INTER-ATTIVA

L'ombra di un dritto naso, scurisce il labbro superiore sinistro, e due grandi tumidi occhi scuri, finimente rifiniti e particolareggiati nei minimi dettagli, come il leggero arrossamento dato al condotto lacrimale interno, o al contorno cigliare inferiore, sono pateticamente rivolti verso Dio, in una composta e serena sofferenza.
Copiato e incollato da (Wikipedia) QUI



Un San Sebastiano trafitto strategicamente che se gli togli, senza troppo sforzo, alcuni elementi fondamentali alla narrazione della vicenda del Santo ottieni un'altra storia. 

Poche gocce di sangue nascoste nell'ombra e una sottilissima aureola per celare una vicenda più umana e pure più sconveniente da narrare delle gesta di un Santo. L'anteposizione di santità per salvare dalla distruzione la narrazione non meno intensa e degna di essere narrata di un Sebastiano qualunque

Togli il sangue, l'esile cerchio di luce e le inutili frecce nella mano del giovane. Resta un meraviglioso corpo che a rifletterci non sai nemmeno bene se è maschile o femminile. Il torace ti suggerisce che è di un ragazzo ma il bacino sembra essere più accomodante e ampio come quello di una donna. La bocca carnosa non ha genere. Serve solo a trasferirti in bocca la sensazione di bocca, a farti sentire, mentre guardi la percezione delle labbra. è disorientate e perfetto per l'immedesimazione. è la storia di un corpo, della sua carnalità in bilico sulla coppa del desiderio. 

Il corpo è incurvato e proteso verso la mano che in basso si rivolge al sesso. Il pollice della mano in alto preme contro la carne del petto per rallentare l'allungamento delle altre dita che con delicata timidezza si aprono frementi verso il capezzolo eretto. La bocca nell'inseguire e precedere con l'immaginazione il desiderio si lascia andare ad una semi apertura molle. L'attimo fermato è quello eccitante del corpo che ardendo di desiderio indugia perché in quell'attesa allunga il piacere, aumenta l'immaginazione, si sensibilizza il corpo. 

Nell'incontro con il proprio corpo si possono incontrare tutti gli altri che si vuole. Anche un corpo identico al proprio, per i narcisisti innamorati di se stessi. 
Sulla pelle avviene l'incontro con l'altro. E l'incontro con se stessi. La pelle serve a sentire ma è essa stessa contemporaneamente oggetto che tramite il tocco sentiamo. Tutto avviene in superficie. Quello che ci succede dentro è il riflesso di quello che accade sulla nostra superficie. Ogni profondità ha la sua superficialità. 

Tra l'erotismo e l'autoerotismo la differenza non è fondamentale. Si può stare con un altro e sentire unicamente se stessi, usare l'altro per avere percezione di sé. Si può incontrare se stessi e immaginare di toccare un altro. Quello che conta è il viaggio attraverso la carne che passa per la pelle e attiva sentimenti e sensazioni, paure e desideri, fremiti e dolore e tutto quello che ci rende umani e ci fa sentire vivi. Che ci scuote dal torpore dell'insensibilità.  

Se nel 1600 a uno gli veniva la voglia di raccontare una storia di erotismo o di autoerotismo l'opera anche magnifica avrebbe trovato probabilmente la distruzione, i santi no, quelli non si toccano. 

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Di fatto la mia rilettura è totalmente arbitraria. potrebbe non essere affatto quello che sembra a me. potrebbe non essere che un innocente SanSebastiano colmo di misericordia e grazia come lo descrivono. La mia operazione non mette e non toglie niente al dipinto, alla storia del dipinto e all'autore, è del tutto trascurabile. Praticamente perfettamente inutile. Serve, la mia operazione, solo a me. A fare un viaggio diverso. A godere senza pregiudizio un'opera. A tenere gli occhi liberi dal condizionamento. A provare sensazioni, immedesimandomi in una storia diversa, intense e diverse da quelle che mi vengono propinate dal perbenismo e dal timore reverenziale richiesto dal titolo. Lascio liberi gli occhi di vedere quello che vogliono. Mi immedesimo in quello che vedo. Lo vivo. La pittura (la rappresentazione e in senso ancora più lato il disegno) mi serve, serve me. Io uso quello che vedo per ampliare la mia esperienza. L'immagine mi traghetta in luoghi di me esistenti e insieme sconosciuti. Oppure forse quei luoghi li crea, non lo so. Di fatto io attraverso quella immagine ho una diversa percezione delle cose. Cambio me stessa. è questo il potere dell'immagine, del disegno da un lato e della lettura, della capacità di immedesimazione dall'altro. Contro l'assuefazione tenere attivati gli occhi e distruggere il pregiudizio per viaggiare fuori di sé. E a chi sa disegnare, la responsabilità doppia e l'invito ad usare con cuore e consapevolezza l'arma potentissima del disegno. 

venerdì 12 luglio 2013

La Prima, la Seconda Realtà e l'Ombra

di Cristina Senatore

Qualche giorno fa camminavo con mia figlia giulia (di due anni e mezzo) all'ombra di un muro.. mentre camminava si è guardata intorno e mi ha chiesto: "mamma dove è finita la mia ombra?"

Se lo è chiesto come se sparendo l'ombra si sentisse un po' sparita anche lei, un po' meno consistente. E invece il suo corpo era della consistenza di sempre e la sua ombra non ha smesso di esistere nemmeno un attimo, si era solo disciolta nell'ombra più grande del muro... Ombra nell'ombra senza possibilità di distinzione fintanto che erano unite in una.

Dora Maar Assia, 1934 Gelatin Silver Proof 26,4 × 19,5 centimetri 
© Meguerditchian Georges - Centre Pompidou, MNAM-CCI © ADAGP, Paris 2012.

L'ombra è la seconda realtà, esiste una prima realtà (che se esiste, e nel momento stesso in cui esiste, genera ombra) di cui essa - l'ombra - fornisce una immagine deformata. La prima e la seconda realtà sono gemelle diverse, figlie di una stessa madre, legate dalla stessa sorte (alla nascita dell'una nasce l'altra, alla morte dell'una muore l'altra) ma che vivono due vite diverse, raccontano, incarnandole, due storie diverse. 

[L'Equilibrio è dato dalla tensione (bipolare, dicotomica) che si genera fra due realtà riflesse ma diverse (uguali ma non identiche), ognuna con una propria autonomia di senso eppure ognuna dipendente dall'altra, in modo tale che se una delle due viene meno, viene meno l'altra e resta solo lo specchio che senza svolgere la sua funzione smette di essere uno specchio e finisce per non esistere. - http://ilbaulevolante.blogspot.it/2013/06/la-realta-specchiata-e-la-realta.html]






In Antropologia...
L’ombra è connessa con molteplici credenze, basate probabilmente sull’idea dell’indissociabilità di una qualsiasi realtà da una sua estensione. Sono spesso ritenute prive di ombre tutte le realtà appartenenti al mondo degli inferi che non partecipano della vicenda solare (gli dei della morte, i demoni, i morti stessi); in alcune religioni l’assenza della propria ombra è il segno dell’esistere in un eterno meridiano (tra alcuni popoli dell’Africa occidentale equatoriale non si esce a mezzogiorno per timore di non aver ombra) proprio perché ciò indica l’acquisizione di un’esistenza non soggetta alla vicenda del mondo.



Il teatro d’ombra nasce più di 2000 anni fa in Cina o Indonesia (non si conosce la vera origine geografica) e affonda le origini in tradizioni ancora più antiche legate probabilmente alle pratiche magiche operate dagli stregoni con l'intento di preservare ed aumentare la propria posizione di prestigio presso la comunità. Figurine ritagliate in diversi materiali venivano illuminate e mosse dietro un telo bianco, il pubblico dall’altra parte non ne vedeva che il profilo, per molti secoli queste rappresentazioni furono riservate ad usi religiosi, nelle grandi feste sacre dei calendari religiosi, per evocare i morti o scacciare gli spiriti. Il loro grande successo di pubblico permise il passaggio verso le rappresentazioni ad uso ludico, e la loro diffusione in altre aree geografiche, quali Mongolia, Turchia, Persia, Egitto, etc. Verso la metà del 1700, grazie ad alcuni missionari che tornavano dalla Cina, quest’arte arrivò in Europa.

Focomposizione e grafica di Cristina Senatore 
con Foto di Daniel Masclet e Disegno della Cupola di San Pietro, attribuito a Michelangelo